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Beyond the Curve
Potenziare i Paesi in via di sviluppo con i modelli dell’Open Innovation

“È in corso un cambio di paradigma necessario nel settore della cooperazione allo sviluppo. Innovare è sempre più richiesto per accelerare il raggiungimento di obiettivi di impatto ambiziosi su scala globale. Per rispondere alle nuove sfide del nostro tempo è necessario testare nuovi approcci pilota e nuovi modelli di partnership, massimizzare l'efficacia degli interventi locali e garantirne una maggiore sostenibilità a lungo termine, con modalità iterative e business model più simili a quelli di una startup lean”. Martina Carpani, Innovation Project Manager di  Save the Children Italia

Che cos’hanno in comune un acceleratore di startup in Iraq e un chatbot che traduce dialetti locali in un campo rifugiati in Grecia? Entrambi dimostrano che, in scenari fragili, l’innovazione è uno strumento che può agire da moltiplicatore d’impatto.

Negli ultimi dodici mesi il fenomeno ha preso velocità coinvolgendo un settore, quello della cooperazione internazionale, appena qualche anno fa ritenuto impermeabile alle spinte dell’Innovazione. È possibile fornire solo alcuni degli esempi attualmente in fieri, ma sicuramente esaustivi per dare concretezza a un trend che ha preso tutta la sua forma definitiva.

Adozione interna. Il World Food Programme ha attivato 20 Innovation Units e una rete di circa 500 Innovation Champions in 165 sedi operative, accelerando soluzioni nate sul campo (fonte: WFP Innovation Year in Review 2024).

Finanza aperta. Nel FY 2024 i Trust Fund e i Financial Intermediary Funds della Banca Mondiale hanno mobilitato 10,6 miliardi di dollari per progetti che sperimentano soluzioni innovative in salute, clima e sicurezza alimentare (fonte: World Bank Trust Fund Annual Report 2024).

Partnership strategiche. L’alleanza UNICEF–Microsoft, attraverso la piattaforma Passport to Earning, ha già formato oltre 2 milioni di giovani in competenze digitali spendibili sul mercato del lavoro (fonte: UNICEF & Microsoft – Generation Unlimited Fact Sheet 2024).

Laboratori globali. La rete UNDP Accelerator Labs conta 91 lab in 115 Paesi, con oltre 270 innovatori che testano idee locali per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (fonte: UNDP Accelerator Labs Overview 2024).

I principali ostacoli per l’innovazione nei contesti fragili

Per le ONG, la posta in gioco è triplice: ridurre i tempi di risposta, scalare soluzioni a costi marginali e attrarre capitale privato, che nonostante i progressi culturali questi obbiettivi spesso vengono vanificati da ostacoli seri.

Ma come si struttura un sistema d’innovazione che funzioni in Iraq?  E come si struttura un sistema d’innovazione che funzioni tanto in Iraq quanto in Somalia?

Prima di mettere a terra le migliori pratiche di Open Innovation, è essenziale riconoscere i principali ostacoli che possono rallentare o addirittura compromettere, l’impatto delle ONG nei contesti fragili. Di seguito vengono le criticità strutturali: finanza, diversità culturale e sostenibilità a lungo termine, che rappresentano il vero banco di prova per trasformare iniziative pilota in soluzioni durature.

Gestione e finanza: Le ONG operano spesso con risorse limitate e in ambienti operativi complessi, caratterizzati da burocrazia e imprevedibilità. L'innovazione richiede investimenti iniziali e una gestione flessibile dei fondi. Questo implica superare la dipendenza dai fondi filantropici tradizionali ed esplorare strumenti come il "blended finance" (un mix di finanziamenti pubblici, privati e filantropici) o l'investimento a impatto, che mira a generare sia un ritorno finanziario che un impatto sociale misurabile. La capacità di creare nuovi modelli finanziari è cruciale per la sostenibilità a lungo termine delle soluzioni innovative.

Diversità culturali e comunicative: Adottare nuove soluzioni e metodi richiede un cambio di mentalità non solo all'interno delle organizzazioni, ma anche nelle comunità stesse. La resistenza al cambiamento e le differenze culturali possono ostacolare l'accettazione e l'uso di nuove tecnologie o approcci. Qui il design partecipativo diventa fondamentale: coinvolgere le comunità sin dalle prime fasi di progettazione aiuta a superare queste barriere, assicurando che le soluzioni siano culturalmente appropriate e rispondano a bisogni reali, non a presupposti esterni.

Effettiva sostenibilità a lungo termine: Un punto chiave per l'innovazione a impatto è la sostenibilità delle soluzioni. Non si tratta di progetti pilota a breve termine, ma di creare modelli di business che possano autosostenersi o essere finanziariamente replicabili, riducendo la dipendenza da fondi esterni e garantendo un impatto duraturo. Questo approccio non è sempre facile considerando il contesto economico in cui si opera e richiede di uscire da logiche tipiche del mercato europeo.

Un punto chiave per l'innovazione a impatto è la sostenibilità delle soluzioni.

L’impatto della co-progettazione

Quando viene co-progettata con le comunità e sostenuta da modelli finanziari adeguati, l’innovazione è in grado di generare progressi tangibili anche negli ambienti più complessi:

  • Sviluppo dell’ecosistema di innovazione locale. Il coinvolgimento di università, rappresentanze industriali, ministeri e hub d’innovazione accelera la maturazione dell’intero territorio, creando spazi di collaborazione stabile.

  • Inclusione educativa tramite la tecnologia. Piattaforme digitali e percorsi di apprendimento flessibili abbattono le barriere di accesso all’istruzione, raggiungendo zone remote o caratterizzate da elevata instabilità.

  • Accelerazione di startup. La nascita di startup e micro-imprese, insieme all’adozione di tecnologie appropriate, genera opportunità di lavoro qualificato, consolida le filiere e distribuisce nuova ricchezza.

Questo trend, affermatosi tra le organizzazioni intergovernative e dell’ecosistema dell’ONU è scalato oltre gli organismi multilaterali e vede sempre più ONG e organizzazioni locali sperimentare approcci innovativi negli interventi sul campo, riscuotendo un interesse crescente da parte di partner e donatori.

Un esempio concreto è rappresentato dal programma Scaling the Social Enterprise di Save the Children Italia, svolto in partnership con Zest.

Scaling the Social Enterprise: Zest e Save The Children Italia

Modello e struttura: un network di asili realizzati con impianto imprenditoriale incorporati nell’ecosistema di Save the Children Italia che erogano servizi educativi a tariffe accessibili a un target più vulnerabile.  Gli utili generati sono reinvestiti nell’impatto, sfruttando governance, relazioni internazionali e know-how tecnico dell’ONG per scalare in modo trasparente e sostenibile.

Obiettivo della partnership con Zest: verificare la solidità economica dell’iniziativa, quindi formare staff e imprenditrici con metodi e strumenti tipici delle startup per renderle autonome; estendere la rete di servizi educativi inclusivi mantenendo standard qualitativi uniformi; e, infine, preparare la replicazione internazionale del modello, adattandolo alle specificità di ogni nuovo contesto.

Contesto di intervento: periferie urbane e insediamenti vulnerabili dove istruzione, reddito e infrastrutture scarseggiano. ONG, amministrazioni locali e imprese collaborano in un modello imprenditoriale che colma vuoti di servizio, crea capitale sociale e stimola resilienza locale.

Nel mondo della cooperazione internazionale, il termine innovazione non è più un accessorio, ma una necessità sistemica. Non si tratta più di portare “tecnologie” nei contesti fragili, ma di riconoscere che quei contesti stessi, se ascoltati, compresi, abilitati, sono fucine di innovazione in forma grezza. Il cambiamento di paradigma è ormai evidente: le ONG non sono più solo esecutrici di interventi, ma architette di ecosistemi.

L’esperienza di Save the Children Italia con Scaling the Social Enterprise ce lo dimostra: un modello ibrido, co-progettato e replicabile, che unisce imprenditoria sociale, partnership strategiche e un’applicazione delle leve dell’Open Innovation. In questa visione, l’ONG smette di essere un “canale” e si trasforma in “infrastruttura”. Un’infrastruttura abilitante per startup locali, reti di apprendimento, innovatori informali e nuovi modelli di delivery dei servizi.

Ma l’innovazione, per essere tale, non può rimanere confinata alle best practice. Deve saper scalare oltre i comunicati stampa e sopravvivere all’entusiasmo dei pilot. Richiede pazienza, iterazione, investimenti e visione di lungo periodo. Significa sperimentare laddove le regole sono fluide, creare valore condiviso in assenza di mercato e costruire fiducia dove la fiducia manca.

In fondo, l’innovazione nei contesti fragili non è una questione di tecnologia, ma di equità. È la possibilità, concreta, tangibile, che anche chi vive ai margini possa accedere agli strumenti per progettare il proprio futuro. E se il futuro va costruito insieme, è tempo che anche la cooperazione impari a lavorare come una startup. Iterativa. Aperta. Radicata. E, soprattutto, coraggiosa.

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